#Tempo e lutto
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vivieimpara-buccispace · 9 months ago
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Cosa ne è della vita...
Funziona così la mente umana: riflette e si interroga sulle grandi domande della vita solo quando gli eventi hanno stravolto la vita stessa. È quello che è successo a me nel periodo più buio della mia vita, mi sono chiesta: cosa ne è della vita dopo la morte? In realtà è una domanda che mi sono fatta molte volte, ma adesso sento una forte esigenza di trovare una risposta quasi come se quella…
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pier-carlo-universe · 16 days ago
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Del Buio e l’Apparenza di Gianfranco Isetta: Il Buio della Perdita e la Luce della Memoria. Recensione di Alessandria today
Una poesia che affronta la perdita e la morte con delicatezza e profondità, trovando nel tempo e nella natura un simbolo di eterno cambiamento.
Una poesia che affronta la perdita e la morte con delicatezza e profondità, trovando nel tempo e nella natura un simbolo di eterno cambiamento. Biografia dell’autore:Gianfranco Isetta è un poeta italiano che esplora con sensibilità e acume le grandi tematiche dell’esistenza, come la natura, la memoria e la transitorietà della vita. Con una produzione poetica ricca di immagini evocative e…
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moonlattae · 2 months ago
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allora. attualmente sono appena entrata nella fase di isolamento e continuo a dire a tutti che ultimamente mi sento a cavallo, quando non è vero per nulla. l'altro giorno sono uscita con un mio amico a cena, che mi fa no comunque tu non somatizzi nulla, hai la pelle sempre bellissima, poi a fine serata mi è preso dal nulla un momento d'ansia pazzesco e sono andata in bagno a vomitare. sono tornata a casa in taxi.
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kon-igi · 2 days ago
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LA SCATOLA DEL DOLORE
Non basta essere appassionati di qualcosa per diventare automaticamente dei professionisti specializzati, altrimenti il mondo sarebbe pieno di ginecologi e androloghe e infatti per ciò che riguarda il dolore e la sofferenza io non mi ritengo né esperto né professionista, però dopo tanti anni passati a calpestare questa bella terra in balia di mie e altrui fortune altalenanti, posso perlomeno affermare che in genere, se ne parlo, è perché so di cosa parlo.
Esistono differenti tipi di dolore e altrettante differenze scatenanti ma da che ho memoria ho sempre visto entrare nella mia vecchia casa a Viareggio persone con le lacrime agli occhi e poi uscirne, se non proprio sorridenti, perlomeno più serene.
Il fatto è che nella quasi totalità dei casi si trattava di madri e di padri che avevano perso i propri figli e le proprie figlie, genitori desiderosi di chiedere ai propri cari se Oltre ci fosse ancora sofferenza o invece la pace e la serenità che si auguravano.
Mio papà e mia mamma sono stati per la quasi totalità delle proprie vite Mulder e Scully de'noantri, però al contrario: mia mamma vedeva gli spiriti e ci parlava e mio papà scacciava infastidito i negromanti che conficcavano spille nelle loro bamboline per vendicarsi che gli rubavano il lavoro e pure gratis.
Nessun giovane spirito, però, ha mai parlato ai propri genitori - più grande è il dolore meno possibilità ci sono di attingere alle emanazioni della Cosa Una - invece queste madri e questi padri disperati hanno ritrovato una quiete interiore parlando non di chi è andato oltre ma di chi è rimasto.
Io sono forte con i dolori che conosco e assolutamente impreparato e fragile anche solo a pensare al dolore che non è ma che potrebbe essere. Anzi, che per forza di cose sarà.
Che cos'è, allora, la scatola del dolore?
Si tratta di una serie di espressioni emotive che ho incontrato in questi ultimi anni e che ho voluto fissare in una metafora visiva.
Noi siamo scatole, contenitori viventi delle più variegate emozioni che si agitano ad ogni nostro agire, sbattendo contro il nostro cuore e risuonandoci dentro.
Quando subiamo il lutto di una persona a noi cara, diventiamo contenitori di un'unica emozione, enorme, ingombrante e onnipresente: il dolore.
Immaginate il dolore come una palla rossa che a ogni nostro movimento sbatte contro il cuore e ci rimbomba dentro di sofferenza e disperazione. Apriamo gli occhi al mattino e ZAC! una coltellata al cuore, saliamo in macchina e ZAC!, apriamo la porta di casa ZAC! e così in ogni aspetto della nostra vita.
Poi un giorno succede qualcosa di strano... apri gli occhi al mattino e la coltellata non arriva: la palla rossa del dolore non ha colpito il cuore ma... c'è ancora! Rimbalza ovunque ma non tutti i movimenti la fanno sbattere là dove fa più male.
Ma... la palla del dolore si è forse rimpicciolita?
Non sembra sia più piccola, solo che colpisce meno frequentemente il cuore e col passare del tempo la sua capacità di ferire sembra diventare sempre più rara.
No, non è più piccola... è diventata più grande la scatola.
La persona è cresciuta intorno a quel dolore, lo ha accettato, compreso e lo ha reso più piccolo del posto in cui all'inizio esso sembrava spingere e spadroneggiare.
Non lo ha dimenticato, non lo ha seppellito, non è fuggita ma vi è cresciuta faticosamente intorno, fino a che il suo flebile manifestarsi non si è presentato come una piccola fitta di nostalgia velata di sorriso stanco.
Questo è il dolore, quando troviamo la forza di abbracciarlo e comprenderne le oscure motivazioni, perché oltre la cortina di pioggia del rimpianto e del desiderio di non sentire più, la via prosegue senza fine e i nostri sogni appartengono già al domani.
P.S.
Se il vostro dolore sembra essere troppo grande e la vostra scatola troppo piccola, cercatemi su telegram come kon_igi... magari non parleremo con gli spiriti ma vi posso assicurare che se avrete bisogno, cercherò di arrivare alla prima luce del quinto giorno. Quindi all'alba guardate ad Est! ❤️
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papesatan · 8 months ago
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Trovo che nulla parli di noi come le nostre lacrime. Di conseguenza, ho deciso di trascrivere qui una lista di eventi e situazioni che mi fanno piangere inconsolabilmente:
le lettere scritte da mia madre e nascoste in un vecchio diario di scuola, quando andavo ancora alle medie. Le ho scoperte soltanto pochi mesi fa, riaprendolo casualmente, e sono scoppiato a piangere,
il finale di Mary Poppins, quando dopo essere stato licenziato, il signor Banks torna a casa con l’aquilone finalmente riparato e comincia a giocare coi figli, correndo fuori con loro per farlo volare nel parco (scena tuttora inguardabile per me senza cominciare a frignare),
gli abbracci alla stazione,
l’episodio di Doraemon in cui Nobita vorrebbe ringraziare la persona che, durante una gita all’asilo, lo aiutò a rialzarsi, scacciando i bruchi pelosi che lo ricoprivano. Tuttavia, Nobita non riesce a ricordare il suo volto, così Doraemon gli offre l’opportunità d’incontrare chiunque voglia nella Stanza del Rivedersi,
la perduta innocenza,
il finale dell’Uomo dei Sogni, quando Ray incontra suo padre, morto da tempo, e prima che questi svanisca gli chiede: “Ehi papà, vuoi giocare un po’ con me?” (tema a quanto pare ricorrente, dovrei forse dedurne qualcosa?),
l’inesorabile decadimento fisico e psichico dei miei genitori, ormai pressoché anziani,
la tenerezza del mio cagnolino e la consapevolezza della sua ineluttabile caducità, 
questo mio talento letterario negletto e sprecato, gettato ormai ad appassire come giardino incolto,
il finale della terza stagione di Person of Interest, quando Samaritan sembra aver ormai vinto, ma il monologo di Root ci ricorda che nonostante tutto il male che ci opprime, non dobbiamo mai smettere di sperare,
Exit music for a film dei Radiohead, dal minuto 2:50, ovvero lo smanioso desiderio di rivalsa che da sempre m’avvampa e mi corrode animo e viscere dopo ogni mortificante derisione, al pensiero che sì, un giorno tutti sapranno, e allora, beh, gliela farò vedere io… (me ne rendo conto, di solito è così che nascono i serial killer). Questa parte, ad ogni modo, mi emoziona a tal punto da avermi spinto a scrivere il finale della mia storia: “Un ventoso mattino di settembre, i servi del marchese  avrebbero forzato le porte dello studio, ove il misero scrittore soleva rinchiudersi di notte, e lo avrebbero trovato morto, riverso fra le sue carte in una pozza di vomito. Spalancate le finestre a lutto, i poveri disgraziati sarebbero stati travolti allora dall'empia ferocia di quegli astiosi fogli sdegnati dal tempo e, così finalmente libere, pagine e pagine d'inchiostro si sarebbero riversate in strada, pronte a prender d'assalto case e negozi, scuole e caserme, mulinando burrascose sulla città, fra le strida dei borghesi impazziti e le urla dei bambini accalcati contro i vetri, fino a seppellire il mondo, terra e cielo, sotto cumuli di scritti dissotterati dal fuoco e dagli abissi”,
la morte di Due Calzini in Balla coi lupi (e il tema ad esso collegato), quando il lupo segue fedelmente Dunbar ormai prigioniero e i soldati gli sparano addosso per dimostrare la loro tonitruante possenza di coraggiosissimi esseri umani supercazzuti, finché non l’ammazzano senza pietà. 
la lettera di Valerie da V per Vendetta, (credo non occorrano spiegazioni né commenti qui),
la mia sciagurata impotenza dinanzi al dolore degli amici,
la morte del commissario Ginz ne Il dottor Živago: “Soldati armati di fucili lo seguivano. ‘Cosa vorranno?’ pensò Ginz e accelerò il passo. Lo stesso fecero i suoi inseguitori. [...] Dalla stazione gli facevano segno di entrare, lo avrebbero messo in salvo. Ma di nuovo il senso dell’onore, educato attraverso generazioni, [...] gli sbarrò la via della salvezza. Con uno sforzo sovrumano cercò di calmare il tremito del cuore in tumulto. Pensò: ‘Bisognerebbe gridargli: - Fratelli, tornate in voi, come volete che sia una spia! - Qualcosa di sincero, capace di svelenirli, di fermarli.’ [...] Davanti all’ingresso della stazione si trovava un’alta botte chiusa da un coperchio. Ginz vi balzò sopra e rivolse ai soldati alcune parole sconvolgenti, fuori dell’umano. Il folle ardire del suo appello, a due passi dalle porte della stazione, dove avrebbe potuto rifugiarsi, sbigottì gli inseguitori. I soldati abbassarono i fucili. Ma Ginz si spostò sull’orlo del coperchio della botte e lo ribaltò. Una gamba gli scivolò nell’acqua, l’altra rimase penzoloni fuori della botte. [...] I soldati accolsero la sua goffa caduta con uno scroscio di risate: il primo lo colpì al collo, uccidendolo. Gli altri gli si gettarono sopra per trafiggere il morto a baionettate”. Non riesco a dire come questa fine mi commuova, ma credo abbia a che fare con goffaggine, spietatezza e umiliazione, cose che mi colpiscono tutte enormemente,
l’episodio de La casa nella prateria, in cui il signor Ingalls realizza una scarpa speciale per la piccola Olga che zoppica a causa di un’asimmetria nelle gambe. Il padre però non vuole che giochi con le altre bambine perché teme possano deriderla o che, ancor peggio, possa farsi male. Aggredisce così il signor Ingalls per essersi intromesso, ma all’improvviso vedendo la figlia giocare felice in cortile, muta espressione commuovendosi profondamente, ed io con lui. È la gioia d’un padre che comprende che sua figlia è finalmente felice. 
la vittoria dell’Italia alle olimpiadi di Torino 2006 nel pattinaggio di velocità, inseguimento a squadre maschile. Avevo 17 anni, avevo finito da poco i compiti e non so perché, restai paralizzato di fronte alla tv ad ammirare l’impresa di Enrico Fabris e compagni, esplodendo poi in un inspiegabile pianto liberatorio che ancora oggi sa per me d’imponderabile (disciplina mai più seguita, che quel giorno però mi regalò un’emozione eguagliata solo dall’oro di Jacobs nel ‘21 - senza lacrime),
la canzone Ave Maria, donna dell’attesa: dal matrimonio di mia sorella ad oggi son passati sette mesi, eppure questa canzone mi fa ancora lo stesso perturbante effetto, scuotendomi ogni santa volta.
Isengard Unleashed dalla colonna sonora del Signore degli Anelli, in particolare, il momento coincidente con la marcia degli Ent (vedi sogni di furiosa rivalsa), dal minuto 2:18,
la comprensione altrui,
ogniqualvolta ho dovuto accompagnare qualcuno all’Eterna Porta e dirgli addio in Spiritfarer,
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trovare ricci spiaccicati sulla strada,
gli immarcescibili sensi di colpa per la morte del gattino Figaro, quando avevo cinque anni,
le storie di grandi insegnanti, capaci di lasciare tracce di sé nei loro alunni.
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piccolaaa3 · 4 months ago
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Non so bene come affrontare il discorso, sono decisamente confusa e spaesata in questo momento..
Stanotte ci ha lasciati una persona a me molto cara, una persona di cui mi sono presa cura in questi anni..
È il terzo lutto in sei mesi per me.. finora ho retto ma questa volta non posso tenermi tutto dentro.
Ho bisogno di crollare, di piangere fino a non avere più lacrime.. ho bisogno di tempo per stare con me stessa e la mia famiglia, elaborare il dolore e rialzarmi.
Vi chiedo perciò di scusarmi, questo blog e la chat rimarranno in silenzio per un po'
Comportatevi da bravi biscottini in mia assenza,
Buona giornata
#me
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lunamarish · 5 months ago
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Dicono che quando una persona ha compiuto la sua missione su questa terra, se ne va. Come se non avesse più nulla da fare qui. Siamo noi, che siamo ancora vivi, che dobbiamo trovare un senso al dolore, affinché non ci imprigioni e non ci faccia perdere di vista il nostro compito. Ma per ora dobbiamo avere pazienza. Prima di tutto, con noi stessi. Non esiste un manuale su come attraversare il nostro lutto. È personale e unico. E cercare di incasellarlo per la comodità degli altri non farà altro che prolungare indefinitamente la sofferenza e bloccarci in un pantano dal quale sarà difficile uscire. È necessario appoggiarsi alle persone che ci vogliono bene, come se fossimo bambini di nuovo. Abbiamo bisogno di loro per attraversare con fiducia questo sentiero sconosciuto, questo cammino misterioso che prima o poi tutti dovremo percorrere. Senza dimenticare, come disse C.S. Lewis dopo la perdita di Joy, che il dolore che ora sentiamo è parte della felicità di allora. Attraversare un lutto profondo è come rinascere. Ci sembra di attraversare un canale di parto oscuro, scivoloso, in cui ci sentiamo compressi, spaventati. In cui a volte non possiamo vedere la luce alla fine del tunnel. Ma un giorno sporgiamo la testa, vediamo il sole, altre facce ci sorridono. Ci rendiamo conto che non siamo soli. Che non siamo gli unici nell'universo ad aver sofferto una perdita. E, soprattutto, che i nostri cari che sono morti continuano a vivere nel nostro cuore. Il miglior omaggio che possiamo fare loro è vivere la nostra vita pienamente. Grati per il tempo che li abbiamo avuti accanto a noi e fiduciosi che un giorno saremo di nuovo insieme. Mi sarebbe piaciuto dirti addio.
(dal web)
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gregor-samsung · 7 months ago
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" In amore, si può sollecitare e insistere, la consolazione esiste. Prima o poi, subentra l’oblio e l’emozione ritrova freschezza e vigore. In amicizia, la consolazione è illusoria, il lutto un baratro. Un amico, un amico vero, è insostituibile. Si vive con questa ferita senza fine, ci si ostina a voler dimenticare, ma si sa che è un esercizio vano. Perché questo genere di ferite non si cancellano dalla memoria? Perché il principio della fedeltà alla parola data non è stato rispettato, la fiducia è stata tradita, si è ritrovata come una dimora svaligiata da colui o colei a cui si erano lasciate le chiavi. E allora ci si sente sgomenti nello scoprire di aver sbagliato, di aver seguito per lungo tempo una falsa strada, creduto a parole vuote di senso, aperto il proprio rifugio interiore, il luogo intimo del segreto. Ed ecco che improvvisamente, tutto va in frantumi. Come non subire più queste ferite? Come scegliere i propri amici? Come sapere, come prevedere le metamorfosi dell'anima, la sua fedeltà e la sua integrità, le sue peregrinazioni e i suoi improvvisi mutamenti? Non esiste una ricetta. Diffidenza e amicizia non vanno d’accordo. Il sospetto è già la fine di una relazione. Che fare allora? Marguerite Yourcenar scrive nelle Memorie di Adriano: “Il nostro grande errore è quello di cercare di ricavare da ciascuno soprattutto le virtù che non ha, e di coltivare con scarsa cura quelle che possiede.” La perfezione non è umana, in compenso la virtù dell'amicizia, questo “sole del mondo” (Cicerone), è propria dell'uomo. "
Tahar Ben Jelloun, L’amicizia e l’ombra del tradimento, traduzione di Egi Volterrani e Camilla Testi, La nave di Teseo, 2019. [Libro elettronico]
[Edizione originale: Éloge de l’amitié, ombre de la trahison, Editions Seuil, 2004]
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amoilnero · 7 months ago
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"Il sesso senza amore è una forma di violenza sul nostro corpo.
Il corpo non è fatto per unirsi sessualmente a qualcuno da cui si separerà senza amore. Possiede l'innocenza della nostra parte animale e naturale.
Quando facciamo sesso con qualcuno il nostro corpo sviluppa ormoni e sostanze neuro-chimiche che producono l'attaccamento verso l'altra persona.
I due corpi di riconoscono e si legano come un cane al proprio padrone.
Questo attaccamento, se esprime l'intenzione dell'Anima di vivere con l'altra persona e sceglierla come compagna, suggella con un legame terreno e carnale il sentimento spirituale dell'amore. È l'incarnazione di una connessione energetica d'amore, ecco perché si chiama "fare l'amore".
Se questa connessione non c'è, e non c'è in noi un amore profondo che ci porti a voler vivere con quella persona, a stare con lei, è come se il corpo venisse illuso.
Come un animale si affeziona anche al cattivo padrone che poi lo abbandonerà, così il corpo nella sua innocente naturalità, non sa che la nostra mente è in conflitto con il cuore, non capisce che vogliamo solo un appagamento mentale senza sentimento: il nostro corpo si lascerà usare fidandosi del suo padrone e nel rapporto sessuale creerà un attaccamento con il corpo dell'altro; proverà affetto, crederà di essere lì per restare in quella calda e affettuosa vicinanza.
Quando poi, visto che non c'era amore, smetteremo di vedere l'altra persona, il corpo non capirà.
Soffrirà.
Sentirà il distacco e l'abbandono senza saperne il perché.
Anche se, arroccati nella nostra mente scollegata, penseremo di esserci divertiti, nelle nostre viscere proveremo lutto e tristezza.
Queste emozioni, se non riconosciute, diventeranno energia bloccata e produrranno tossine. Non subito, ma nel tempo contribuiranno all'indebolimento del sistema immunitario o di qualche organo.
Ci verrà forse un'influenza o un piccolo acciacco e non sapremo il perché.
"Non commettere atti impuri" significa non obbligare il corpo a fare cose in contrasto con il cuore. Non è un dettame morale ma un principio per la cura della nostra integrità e salute fisico-energetica."
(Alessandro Baccaglini)
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t-annhauser · 5 months ago
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(episodi biblici: Giuda si unisce carnalmente con Tamar, sua nuora)
Genesi 38, 6; da una storia vera. Giuda, figlio di Giacobbe, figlio di Isacco, figlio di Abramo, dà in sposa la bella Tamar a suo figlio Er, ma Er si rende odioso agli occhi del Signore e il Signore lo fa morire. A questo punto, per la legge del levirato (tutto attaccato), Giuda consegna Tamar al secondogenito Onan, affinché egli abbia un figlio legittimo con lei, che verrà considerato a tutti gli effetti figlio di Er, in sua assenza.
Allora Giuda disse a Onan: "Va' con la moglie di tuo fratello, compi verso di lei il dovere di cognato e assicura così una posterità a tuo fratello".
Ma Onan, sapendo che la prole non sarebbe stata considerata come sua, disperde per terra il seme alla fine di ogni rapporto.
Ma Onan sapeva che la prole non sarebbe stata considerata come sua; ogni volta che si univa alla moglie del fratello, disperdeva il seme per terra, per non dare un discendente al fratello. 
Ciò che egli fa è male per il Signore e il Signore lo fa morire (sentenza immediata di morte per non aver proceduto a inseminare la cognata). Giuda a questo punto si fa due conti: avanti così e non mi resteranno più figli, meglio far ritornare Tamar dal padre, a Tinma, giusto per precauzione. Passa il tempo e, dopo un grave lutto in famiglia, Giuda si reca a Timna per far tosare le pecore. Tamar viene avvertita: "Guarda che sta arrivando tuo suocero". A questo punto Tamar, visto che il figlio superstite di Giuda, seppur cresciuto e nel pieno delle sue capacità riproduttive, non le era stato concesso per inseminarla e garantirle così il giusto diritto di darle una prole, s'inventa uno stratagemma:
Allora Tamar si tolse gli abiti vedovili, si coprì con il velo e se lo avvolse intorno, poi si pose a sedere all'ingresso di Enàim, che è sulla strada per Timna.
Giuda vede la graziosa ragazza e la scambia per una prostituta:
Quando Giuda la vide, la prese per una prostituta, perché essa si era coperta la faccia. Egli si diresse su quella strada verso di lei e disse: "Lascia che io venga con te!". Non sapeva infatti che era sua nuora. "Lascia che io venga con te!". Tamar risponde: "va bene, ma in cambio che cosa mi dai?". "Un capretto," dice Giuda. "Va bene," dice Tamar, "ma lasciami almeno una caparra". "Va bene," dice Giuda, "cosa vuoi?". "Il tuo sigillo, il tuo cordone e il bastone che hai in mano" dice Tamar. Detto fatto: Giuda le consegna carta d'identità e codice fiscale e si unisce carnalmente alla nuora completamente ignaro della sua identità. Quando Giuda va per consegnarle il capretto, della bella prostituta si sono perse le trecce, per cui domanda in giro: "Avete per caso visto una prostituta?". "Quale prostituta?" Gli rispondono indignati gli abitanti del luogo, "Qui da noi non ci sono prostitute!". Giuda torna quindi a casa un po' perplesso, e senza documenti. Passano tre mesi e qualcuno viene a dire a Giuda che sua nuora si è prostituita ed è rimasta incinta. Indignato, Giuda tuona: "Sia tratta fuori dalla città e bruciata!". Allora Tamar, mentre viene condotta al rogo, dice:
"Io sono incinta dell'uomo a cui appartengono questi oggetti". E aggiunse: "Per favore, verifica di chi siano questo sigillo, questi cordoni e questo bastone".
Giuda li vede ed esclama: porco Giuda! Ma è giusto così, giusto così: non le ho dato il mio ultimo figlio e lei si è servita di me.
Tamar diede alla luce due gemelli: Zerach e Peres, antenati di Gesù, discendente di truffaldina - ma giusta, secondo legge - copula.
[L'incontro di Tamar e Giuda, Tintoretto]
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susieporta · 9 months ago
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La verità è che nessuno si regge più in piedi da solo, sulle proprie gambe. Nessuno regge più il dolore, la perdita, la frustrazione, l’attesa.
Insomma, le cose della vita.
Abbiamo bisogno di normalizzare i processi della vita: nascere, crescere, ammalarsi, ferirsi, invecchiare, morire.
Un tempo si moriva sazi di vita, appagati, senza rimpianto alcuno, in modo del tutto naturale.
Oggi si muore insoddisfatti, delusi e stanchi.
Il lutto non rientra più nelle categorie del vivente.
Abbiamo inventato questa parola: “elaborazione”, dimenticando che i lutti non si elaborano, ma si accolgono, come parti integranti dell’esistenza, tutt’al più si contemplano come espressioni mutevoli del flusso continuo della vita.
“Sii paziente verso tutto ciò
che è irrisolto nel tuo cuore
e cerca di amare le domande,
che sono simili a
stanze chiuse a chiave
e a libri scritti
in una lingua straniera.
Non cercare ora le risposte
che possono esserti date
poiché non saresti capace
di convivere con esse.
E il punto è vivere ogni cosa.
Vivere le domande ora.”
Aveva ragione Rilke.
Abbiamo disimparato il valore del piangere insieme, di condividere il pasto, dono gentile e premuroso gesto della vicina di casa, la sera, quando si raccontava ai bambini dove sta il nonno adesso, e si passava la carezza della mano piccola sul suo viso freddo e immobile, disteso sul letto.
I sogni facevano il resto, perché si aveva tempo per dormire e per sognare. E al mattino, appena svegli, per raccontare.
Così chi non c’era più continuava ad esserci, a contare, a suggerire, a consolare.
I morti stavano insieme ai vivi.
Complicato allora non è il lutto, ma il modo di viverlo, di trattarlo, come se fosse una malattia in cerca di una cura. Ma la vita non è un problema da risolvere.
Ancora Rilke. Piuttosto un mistero da sperimentare. Una quota di ignoto inevitabile che spinge lo sguardo oltre la siepe.
Chi ha ancora desiderio di quell’infinito che solo l’esperienza del limite può disvelare?
Oggi tutti reclamano il diritto alla cura della psiche, forse perché i medici del corpo non riescono a guarire certe ferite dell’anima.
Ma così si sta perdendo il valore della psicoterapia. Così si confonde la patologia con la fisiologia dell’esistente, che contempla nel suo lessico le voci: malattia, solitudine, sofferenza, perdita, vecchiaia, morte.
Qual è l’immagine del nostro tempo, che rappresenta il senso estetico dominante? Una enorme superficie levigata, perfetta, specchiante.
In questo modo, privata delle increspature, delle imperfezioni, del negativo, della mancanza, l’anima ha smarrito il suo luogo naturale, la sua origine, il respiro profondo della caducità, della provvisorietà, della fragilità del bene e del male.
Perché alla fine, tutto ciò che comincia è destinato a finire e l’unica verità che rimane è questo grumo di gioia che adesso vibra ancora nel cuore, qui e ora, in questo preciso istante, nonostante la paura, il disincanto, la sfiducia.
Non c’è salute dunque che non sia connessa alla possibilità di salvezza.
Alle nostre terapie manca quel giusto slancio evolutivo, che spinga lo sguardo oltre le diagnosi, i funzionamenti, i fantasmi che abitano nelle stanze buie della mente.
Un terapeuta non può confondere la luna con il dito che la indica.
Può solo indicare la direzione e sostenere il desiderio di raggiungerla.
Per questo ogni sera mi piace chiudere gli occhi del giorno con una poesia, ogni sera una poesia diversa, per onorare la notte con il canto dei poeti.
Perché la notte sa come mantenere e custodire tutti i segreti.
Perché le poesie assomigliano alle preghiere.
Dicono sempre cose vere.
Stanotte per esempio ho scelto questa:
“Si è levata una luna trasparente
come un avviso senza minaccia
una macchia di nascita in cielo
altra possibilità di dimora. E poi.
Siamo invecchiati.
Il volume di vecchiaia
è pesato sul tavolino delle spalle,
sugli spiccioli di salute.
Cos’è mai la stanchezza?
Le cellule gridano
chiamano l’origine
vogliono accucciarsi
nel luogo prima del nome
nello spazio che sta tra cosa e cosa
e non invade gli oggetti
li accarezza e li accalora.
Non smettere di guardare il cielo
ti assegna la precisa misura
fidati della vecchiaia
è un burattino redentore.
Dopo tanta aritmetica
la serenità dello zero.”
Chandra Candiani
Testo di Giuseppe Ruggiero
foto dal seminario " In Quiete". Introduzione alle costellazioni Familiari con Anna Polin
Gloria Volpato
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vivieimpara-buccispace · 10 months ago
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Caro Babbo Natale...
Oggi che è Pasqua, trovo la forza di parlare del Natale. Il tempo scorre inesorabile e la vita continua. Ed è arrivato Natale, così come Pasqua. E cosa sono le festività se non le grandi amplificatrici di tutte le emozioni? “Quest’anno a Natale non scendo giù in Sicilia!”. Mio padre da un letto del Policlinico di Milano, aveva maturato questo pensiero. “Papà ma che dici? Perché non dovresti…
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marcogagnoni · 9 months ago
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“Rosa di macchia, che dall’irta rama ridi non vista a quella montanina, che stornellando passa e che ti chiama rosa canina; se sottil mano i fiori tuoi non coglie, non ti dolere della tua fortuna: le invidïate rose centofoglie colgano a una a una: al freddo sibilar del vento che l’arse foglie a una a una stacca, irto il rosaio dondolerà lento senza una bacca; ma tu di bacche brillerai nel lutto del grigio inverno; al rifiorir dell’anno i fiori nuovi a qualche vizzo frutto sorrideranno: e te, col tempo, stupirà cresciuta quella che all’alba svolta già leggiera col suo stornello, e risalirà muta, forse, una sera.” Giovanni Pascoli
Photo by ©️ Marco Gagnoni
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allecram-me · 4 months ago
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Oggi a Berlino è festa nazionale, sono tutti partiti per un weekend lungo. Io vedo questo giorno libero, grigio ma non troppo, come una piccola cattiveria del tempo, del mio tempo qui che non so benissimo come sfruttare, anche se ci provo. Ho comprato questa busta di tabacco il 19 Settembre e durerà ancora qualche giorno, il che significa che sto andando egregiamente bene sul versante nicotina, fumo di meno. Devo consegnare la tesi di dottorato il 15 Ottobre, il che significa che non sto messa proprio bene, dovrei usare questo giorno libero e non troppo luminoso per starmene a casa col nasino nel pc, non dico manco di voler fare un buon lavoro - che senso ha, adesso? - ma un lavoro qualunque, perché questa sigla di tre lettere vicino al mio nome io me la merito, anche se non so fare proprio proprio un cazzo, o così mi pare stando qui insieme a tutte queste fantastiche persone che evidentemente sanno quello che fanno, e mi sa pure che molti di loro siano sulla carta meno skillate di me. Che ipocrisia l’istituzione, ma stando qui ho ancora l’impressione che ci sia speranza - io, speranza. In questo momento.
Ho scritto a Linda un messaggio incoerente - io, comunicazione incoerente. Ma è pur sempre la fotografia di questo momento. Le ho comunicato che Valerio è morto e che io sono qui. Le ho detto “Ehi, non so se voglio parlarne, forse devo parlarne, ma forse parlarne mi farà crollare ed io mica adesso me lo posso permettere…”. Le ho detto che l’abbraccio perché so bene che dopo aver saputo di questa notizia avrà pianto per me. Il mio rapporto con la mia psicologa è piuttosto atipico, per quello che da psicologa so, ma il punto è anche che siamo colleghe. Questo mi fa venire in mente il fatto che ci sono nella mia vita tutte queste situazioni in cui le persone inquadrano la nostra relazione attribuendomi un ruolo di competenza, ma secondo me io questa roba qua non la so raccogliere molto bene. Tipo come qui a Berlino, dove parlo con tutti i gradini di questa gerarchia che mi è comunque oscura partendo dal presupposto che siano tutti intrinsecamente migliori di me, e si vede che lo faccio. Mi viene in mente che forse loro si aspettavano che questa esteemed foreign researcher sarebbe venuta a portare competenze, a mettere qualcosina sul piatto. Ed io che ho messo? Sorrisi gentili, mille “don’t worry about me”, il mio racconto da pazza detached di un lutto così recente ed enorme da essere francamente inappropriato. Qualcuno penserà che sono pazza. Io lo penso, forse mi ossessiona un po’. Sub-clinicamente, per ora. Una psicologa ha le competenze per dirle, certe cose.
Martedì ho presentato una vaga idea di quale sarà il mio lavoro di questo mese alla consueta riunione del team. Due slide mediamente colorate, un sacco di punti interrogativi. Sono una persona onesta, questo è innegabile. Mi hanno chiesto di fare cose che non so fare, ma se fossi in grado di impararle al volo sarebbe tutto ok. Nella mia esperienza è così che si fa questo lavoro. A breve però questo mese qui sarà finito, e che ne sarà di me? Dovrò dare un significato alla frase “Valerio è morto” che dico tanto spesso, dovrò tornare nell’unico posto dove so per certo di non voler essere, con una persona che esercita del potere su di me, e che io semplicemente odio. Da quando Valerio è morto ho scoperto una spinta a vivere che non credo mi appartenesse, deve essere stato una specie di contagio tipo quell’episodio di Buffy (o era Streghe? O forse tutt’e due?) in cui quando la persona impossessata moriva l’entità invisibile si rintanava nel corpo vivo più vicino. Quando Valerio è morto ero di sicuro il corpo più vicino. Mentre gli tenevo la mano deve avermi passato quel qualcosa che tanto non gli sarebbe servito più, quella testardaggine che lo ha tenuto aggrappato a questo mondo fin quando noi non abbiamo deciso che per lui era finita. Sarebbe così sensato. È così romantico. Valerio è morto. Io ancora no. Devo imparare delle nuove competenze per essere all’altezza dell’ossigeno che consumo.
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innamoratadellenuvole · 15 days ago
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Oggi, prima ancora che mi alzassi dal letto ho ricevuto la notizia che una zia verso la quale provo tanto affetto e alla quale mi legano molti ricordi di bei momenti vissuti soprattutto da bambina, sta morendo.
Oltretutto vive lontano ma forse è meglio così perché non so se riuscirei a reggere emotivamente il fatto di vederla nei suoi ultimi istanti ed essere circondata dai parenti in lutto, non so mai come comportarmi in queste situazioni.
Ci siamo viste lo scorso agosto e quando l'ho salutata prima di ripartire per tornare a casa mia, ero già triste perché sapevo che sarebbe potuta essere l'ultima volta, dato che è malata da tempo e ultimamente le sue condizioni sono peggiorate in maniera repentina ma ho cercato comunque di dirle parole di incoraggiamento...
A volte le parole sono tutto ciò che ci resta ma non servono a molto...
Insomma, la giornata è cominciata male, tra le lacrime, come per dare un'anteprima dell'andazzo che avrà.
E il 2025 prosegue nel suo intento di voler essere un anno devastante per me (e siamo solo al 9 gennaio) ho paura di scoprire quali altre brutte sorprese mi riserva per i prossimi giorni o mesi.
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xerotere · 17 days ago
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Stanotte ti ho sognato per la prima volta dopo tanto tempo, e come al solito la tua è stata una visita gentile e premurosa, una carezza sul mio animo costantemente in affanno. Sei una delle poche persone (o, forse, proprio l’unica) che mi compare in sogno per dirmi sempre qualcosa di bello, o mostrarmi un gesto d’affetto e cura. Certo, poi svegliarsi in questa realtà in lutto della tua presenza trasforma la carezza in uno schiaffo, però in qualche modo una dolcezza rimane, e rimane anche la gratitudine per la tua comparsa-cometa nella mia vita. Se, come dice la mia psicologa, tutto ciò che sogniamo rappresenta in realtà una parte di noi, io ti sono grata perché per la mia psiche sei stato un simbolo di speranza, l’incarnazione dell'idea che può esserci altro oltre il costante disprezzo di sé, il giudizio, l’ansia. Non averti con me è una sofferenza, ma è pur sempre meglio di non averti mai avuto accanto – me lo ripeto sempre.
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